Sindrome da fatica cronica

 

Un nastro blu è stato scelto come simbolo internazionale della lotta alla CFS.

La sindrome da fatica cronica (in inglese Chronic Fatigue Syndrome, sigla CFS), anche detta encefalomielite mialgica o malattia da intolleranza sistemica allo sforzo (Systemic exertion intolerance disease – SEID) comunemente indicata come CFS/ME, è una malattia multifattoriale idiopatica che viene descritta da un rapporto dell’Institute of Medicine (IOM) pubblicato nel febbraio 2015  come una «malattia sistemica, complessa, cronica e grave», caratterizzata da una profonda stanchezza, disfunzioni cognitive, alterazioni del sonno, manifestazioni autonomiche, dolore e altri sintomi, che sono peggiorati da uno sforzo di qualsiasi tipo.

Con esplicito riferimento al rapporto dello IOM, il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ha aggiornato la propria scheda della malattia in data 3 luglio 2017 unificando la CFS con la ME, sotto il nome di ME/CFS (Encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica). Essa viene indicata come malattia seria, di lungo periodo che colpisce molti apparati dell’organismo, riducendo o impedendo le normali attività dei pazienti, talvolta confinandoli a letto. I sintomi sono ricondotti essenzialmente a severa fatica, disturbi del sonno e peggioramento dei sintomi a seguito di sforzi (PEM), a cui possono aggiungersi problemi cognitivi e di concentrazione, dolore e stordimento. Già in precedenza i CDC avevano riconosciuto la CFS come una malattia devastante e complessa che comporta una fatica schiacciante e una miriade di altri sintomi che non vengono migliorati dal riposo e che possono peggiorare dopo l’attività fisica o uno sforzo mentale, nonché una riduzione sostanziale del livello di attività dei pazienti rispetto a quello che potevano sostenere prima di ammalarsi.

Essa colpisce in prevalenza le donne e può colpire anche bambini e adolescenti.

Come il già citato rapporto dello IOM, anche una ricerca europea ha dimostrato che i pazienti di CFS/ME patiscono una peggiore qualità della vita rispetto ai malati di molte gravi patologie più conosciute. Questo può spiegare perché, sebbene il tasso di mortalità naturale nella CFS non sia superiore rispetto a quello della popolazione sana, la malattia comporti un aumento di 7 volte nel rischio di suicidi.

Ogni anno il 12 maggio ricorre la Giornata Mondiale della CFS.

 

Definizioni, linee guida e ricerca

Secondo il rapporto dello IOM del 2015, per la diagnosi di CFS il paziente deve presentare da almeno 6 mesi una profonda fatica, con una riduzione significativa delle proprie funzionalità, un malessere che aumenta dopo qualunque sforzo (fisico, intellettivo o emozionale), sonno non ristoratore e almeno uno dei due seguenti disturbi: disfunzioni cognitive e/o intolleranza ortostatica.

Il CDC ha adeguato la propria definizione allo IOM inserendo come sintomo primario, insieme a fatica e disturbi del sonno, anche l’intolleranza allo sforzo. In precedenza si atteneva alla definizione di CFS del 1994 (Fukuda) che richiede che vi sia un grave affaticamento cronico per 6 o più mesi consecutivi non legato a uno sforzo in corso o ad altre condizioni mediche associate a fatica, che la fatica interferisca significativamente con le attività quotidiane e il lavoro e che nei 6 o più mesi consecutivi siano apparsi e persistiti o si siano più volte ripresentati 4 o più dei seguenti sintomi: sonno non ristoratore, malessere post-sforzo che dura più di 24 ore, una significativa compromissione della memoria a breve termine o della concentrazione, dolore muscolare, dolore alle articolazioni senza gonfiore o rossore, mal di testa di tipo o gravità insoliti, linfoadenopatia del collo o dell’ascella, un mal di gola frequente o ricorrente.

Negli corso degli anni si sono succedute numerose definizioni e linee guida per la malattia, tra cui le Linee guida Canadesi e i Criteri Internazionali di Consenso, di cui sono disponibili anche delle traduzioni autorizzate in Italiano.

Su dette basi, nel 2014 sono state redatte anche delle linee guida italiane a cura dell’AGENAS.

La pubblicazione nel febbraio 2015 del già citato documento dello IOM, che raccomandava nuovi criteri diagnostici e un nuovo nome (SEID) per la CFS/ME, ha dato nuovo slancio all’impegno sulla CFS, a livello universitario e anche economico, con un notevole incremento degli sforzi negli USA e altrove e un forte impulso alla ricerca e alle pubblicazioni in materia da parte della comunità scientifica internazionale, scatenando una sorta di competizione nel fundraising e nella ricerca di biomarcatori oggettivi.

Recenti pubblicazioni in tutto il mondo confermano e attestano robuste evidenze scientifiche che qualificano la malattia come biologica e non psicologica.

Questo dovrebbe mettere finalmente fine all’annosa diatriba, causa di frustrazione aggiuntiva per i pazienti, legata al fatto che la CFS non mostra particolari segni esteriori nei pazienti e può essere facilmente confusa con sindromi d’ansia o depressione, con cui condivide alcune caratteristiche biologiche, pur essendo una malattia completamente distinta e indipendente.

L’Istituto di Medicina ha respinto l’idea che si tratti di una malattia psichiatrica. Purtroppo l’equivoco è stato alimentato da un controverso studio britannico denominato “PACE Trial” pubblicato su The Lancet nel 2011 e Psychological Medicine nel 2013, che è stato contestato dalla comunità scientifica e dalle organizzazioni dei pazienti anche attraverso le vie legali, mediante ricorso al Freedom of Information Act, e qualificato come un caso esemplare di “bad science” che ha fuorviato milioni di pazienti. La diatriba prosegue comunque in aperta contrapposizione tra medici ricercatori esperti di CFS e gli psichiatri autori dello studio, sebbene il tribunale abbia respinto anche il loro ricorso in appello.

 

Descrizione

La CFS può gravemente compromettere la capacità dei pazienti di condurre una vita normale.

Molte persone con CFS hanno difficoltà a completare le attività quotidiane e almeno un quarto di esse è stata obbligata a letto per tempi prolungati a causa della malattia. La malattia può quindi avere ricadute sociali importanti per quanto riguarda il mondo del lavoro o delle attività professionali in generale, dato che può indurre ad assenza dal posto di lavoro o al vero e proprio isolamento sociale.

Tuttavia, molti lottano con i sintomi per anni prima di ricevere una diagnosi. Secondo il rapporto dello IOM[1], infatti, molti operatori sanitari sono stati a lungo scettici circa la gravità della CFS/ME, scambiandola erroneamente con un disturbo psicologico affine all’ipocondria o alla depressione e non considerandola come una vera patologia. Da qui la sollecitazione dello IOM a informare sempre più i sanitari sul riconoscimento della CFS/ME come una grave malattia che richiede diagnosi e cure adeguate e tempestive, proponendo anche una nuova denominazione, SEID (Systemic Exertion Intolerance Disease), che la qualifica come “Malattia da intolleranza sistemica allo sforzo”.

Queste raccomandazioni valgono tanto più in Italia, dove la malattia non è tuttora riconosciuta, salvo rarissime eccezioni, e bisogna ringraziare soprattutto le associazioni dei malati se in questo Paese si parla di CFS.

Il rapporto dello IOM valuta tra gli 836 mila i 2,5 milioni il numero dei malati di ME/CFS negli Stati Uniti d’America e tra i 17 e i 24 miliardi di dollari annui la ricaduta economica in termini di costi della malattia.

La CFS è frequentemente associata alla fibromialgia (oltre che alla sindrome da sensibilità chimica multipla). Può avere associazione anche con la SFB (sindrome delle fascicolazioni benigne).

Ci si può riferire al disturbo anche come a sindrome da fatica post-virale (PVFS dall’inglese post-viral fatigue syndrome, quando la condizione si manifesta in seguito a una malattia di tipo influenzale), Encefalomielite Mialgica (Myalgic Encephalomyelitis o ME).

 

Caratteristiche e sintomi

Ogni individuo reagisce in modo diverso alla malattia e può sviluppare un alto numero di sintomi. Può comparire o esacerbarsi (spesso temporaneamente) anche dopo un’influenza e talvolta in comorbilità con la fibromialgia.

Essa presenta una gamma di anormalità neurologiche, immunologiche e del sistema endocrino, che spesso riducono (almeno all’esordio e nelle fasi acute) la capacità lavorativa del soggetto del 50% o più, a causa della debolezza generale e della facilità a stancarsi. Generalmente ricorrono:

  • fatica cronica (es. astenia, sia generalizzata sia in zone specifiche) persistente per almeno 6 mesi che non è alleviata da riposo, che si esacerba con piccoli sforzi e che provoca una sostanziale riduzione dei livelli precedenti delle attività occupazionali, sociali o personali;
  • presenza regolare di quattro o più dei seguenti sintomi, anche questi per almeno 6 mesi:
  1. disturbi della memoria e della concentrazione tali da ridurre i precedenti livelli di attività occupazionale e personale;
  2. faringite;
  3. dolori o gonfiore delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari;
  4. dolori muscolari e delle articolazioni senza infiammazioni o rigonfiamento delle stesse;
  5. cefalea di tipo diverso da quella presente eventualmente in passato;
  6. sonno non ristoratore;
  7. debolezza post-esercizio fisico, che perdura per almeno 24 ore.

Altri sintomi: parestesia, acufeni, problemi di equilibrio, sintomi che imitano la neuropatia (dolori e parestesie in alcune innervazioni, come nella sindrome del tunnel carpale o la sindrome del tunnel cubitale), disturbi respiratori, sinusite, crampi, spasmi, atassia, tremore, fascicolazioni, mioclonia, sintomi simil-influenzali, sudore notturno, febbreintermittente, vista offuscata, problemi intestinali, problemi ginecologici, confusione, dispepsia, aumento di peso, insofferenza al caldo, al freddo e all’umidità.

Epidemiologia

La sindrome ricorre prevalentemente in individui giovani o di mezza età, con una prevalenza delle donne sugli uomini di 1.8, ma può presentarsi in bambini; molto raramente si presenta la prima volta in soggetti di età avanzata, che invece soffrono già di indebolimento a causa dell’età.

Diagnosi

Non esiste ancora alcun marcatore biologico o test di laboratorio universalmente acclarato che identifichi con certezza la sindrome o le patologie affini, per cui la diagnosi è spesso sintomatica e differenziale. Solo di recente sono stati individuati diversi possibili marcatori biologici. Lo IOM nel suo rapporto del 2015 ha definito nuove caratterizzazioni diagnostiche. Agli esami non risultano solitamente alterazioni di marcatori normali come il CPK, e all’elettromiografia non sono presenti segni estesi di denervazione, al massimo di sofferenza muscolare, talvolta correlata o autonoma (dovuta a cause meccaniche come l’ernia del disco). In certi casi vengono eseguiti risonanza magnetica o biopsia muscolare per escludere miopatie come la distrofia muscolare o la sclerosi multipla.

Ci si può aspettare una svolta fondamentale nell’approccio alla malattia a seguito delle recenti scoperte di potenziali marcatori della CFS, negli Stati Uniti – a livello plasmatico, cerebrospinale, microbiologico – ma anche in Australia, nel Regno Unito, in Canada e in Giappone.